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È il 1957 e Diego de Henriquez (Trieste 1909-1974) è a Roma probabilmente perché – su consiglio del Generale, e amico, Ottone Franchini suo comandante a San Pietro del Carso durante il Secondo conflitto – sta pianificando il trasferimento nella capitale di buona parte delle proprie collezioni per dare vita a un grande Museo da inaugurare in occasione delle Olimpiadi del 1960.
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Mentre passeggia tra le bancarelle di piazza Borghese la sua attenzione viene attirata da una serie di disegni che ritraggono scene guerresche e di torture orientali.
Li osserva attentamente e si accorge che sono tutti originali firmati da ARobida (alcuni solo con le iniziali AR), ovvero Albert Robida, il poliedrico artista francese (Compiègne 1848 – Neuilly-sur-Seine 1926) fondatore della “fantascienza dell’arte” e contemporaneo del più noto Jules Verne (Nantes 1828 – Amiens 1905).
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Henriquez non indugia un istante e li acquista perché ne apprezza non solo la valenza artistica, ma soprattutto il contenuto per certi aspetti avveniristico: egli stesso si interessa non solo di guerra e dei suoi effetti sul comportamento umano, ma anche di tecnologia tesa al futuro, dello sviluppo dei processi tecnici in ambito bellico e civile riservando un’attenzione particolare ai giochi per bimbi riferiti a ipotetiche attività proiettate avanti nel tempo. E proprio a questi argomenti pensa di dedicare una sezione del costituendo Museo.
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Alcuni dei quindici disegni acquistati da de Henriquez e recentemente riconsiderati nell’ambito di una collaborazione tra il Civico Museo “Diego de Henriquez” e l’Università degli Studi di Trieste-Dipartimento di Studi Umanistici, furono pubblicati a commento del testo di Pierre Giffard, La guerre infernale, Paris : Albert Méricant Éditeur, 1908.
L’artista francese, che i meno giovani ricorderanno per essere stato l’autore del romanzo fantastico e di avventura Voyages très extraordinaires de Saturnin Farandoul del 1879 (Viaggi straordinarissimi di Saturnino Farandola) al quale si ispirarono un film muto del 1913 e uno sceneggiato televisivo italiano del 1977, nelle diverse opere di cui fu artefice o commentatore grafico congetturò tecnologie futuristiche senza, però, perdere di vista la società contemporanea, con le sue istituzioni e le sue credenze.
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Così, se da un lato risentì dell’influenza dei progressi tecnologici frutto della Seconda rivoluzione industriale che poté toccare con mano durante le diverse Esposizioni universali tenutesi a Parigi nella seconda metà dell’800, dall’altro percepì anche’egli la paura che si stava diffondendo nei confronti dei popoli asiatici, in particolare dei Cinesi, di cui si temeva il sopravvento e la fama di crudeli torturatori.
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Come i disastri provocati dalla tecnologia bellica durante il Primo conflitto mondiale indussero Albert Robida a essere più cauto nei confronti del progresso scientifico e a riflettere sui messaggi veicolati dalla propria arte, così Diego de Henriquez, testimone delle atrocità inflitte dalla successiva conflagrazione mondiale, maturò un nuovo approccio verso l’universo guerresco arrivando a trasformarlo in un vettore di pace.