È l’estate del 1945 e Diego de Henriquez si reca alla baia di Sistiana conoscendo bene la rilevanza strategica che quel luogo ha avuto durante il Secondo conflitto. Nel settembre del 1944, infatti, le Forze armate germaniche vi costruirono una base sommergibilistica segreta per poter pattugliare le acque del golfo. Il posto era favorevole, protetto da venti e mareggiate, inaccessibile dalla strada costiera e difficilmente individuabile dagli aeroplani americani e inglesi.
A Sistiana vennero quindi dirottati diversi sommergibili tascabili Molch, muniti di due siluri, da 533 mm, ciascuno: pilotati da un solo uomo e muniti di un piccolo periscopio, venivano costruiti dal cantiere Flender di Lubecca e assemblati dalla Deschimag AG Weser di Brema. Durante i primi test diversi Molch affondarono con il proprio pilota, a quanto pare per un problema al dispositivo di stacco dei siluri che, rimanendo attaccati alla struttura nonostante il comando di sgancio, imprimevano all’intero mezzo subacqueo un’alta velocità portando natante e uomo sul fondo del mare.
Nella baia i Tedeschi scavarono il rilievo roccioso sopra al mare, realizzando camminamenti e vani tecnici e per le necessità dei soldati, aprirono feritoie per spiare la distesa marina e per dislocare mitragliatrici e cannoni come pure realizzarono dei ricoveri per i mezzi subacquei: quest’ultimi, molto probabilmente, venivano messi in mare per mezzo di un argano e di un carrello monorotaia che partiva dai nascondigli e raggiungeva il mare. Prima della resa quasi tutto venne distrutto.
Con un dislocamento di 11 tonnellate, una lunghezza di 10,8 metri e una larghezza massima di 1,82 i Molch potevano raggiungere una velocità di 4,3 nodi in superficie e di 5 in immersione, scendendo a circa 40 metri di profondità. L’autonomia in emersione era di 50 miglia a 2,9-4,3 nodi, di 50 a 3,3-5 nodi in immersione.
Ma lasciamo da parte gli aspetti tecnici per tornare a de Henriquez che sta ispezionando la baia di Sistiana. Lo immaginiamo presso il porticciolo mentre nota un certo numero di natanti tascabili posizionati sulle piattaforme di alcuni rimorchi senza ruote, tutti danneggiati da uno squarcio all’altezza della cabina di pilotaggio: è il frutto della decisione dei Tedeschi che, in procinto di andarsene, decisero di renderli inutilizzabili nel caso fossero caduti in mani nemiche.
Nella baia trova accampati militari britannici per i quali un reparto di genieri italiani dell’esercito regolare sta costruendo delle baracche in legno: corre voce, tra l’altro, che alcuni soldati vendano sottobanco, e con molta cautela per non essere arrestati, le batterie dei sottomarini abbandonati come pure gli assi tolti dai rimorchi che li sorreggono.
De Henriquez non vuole perdere quella ghiotta occasione e incomincia a darsi da fare per acquisire uno dei Molch nonostante venga messo in guardia riguardo alla possibilità che il terreno sia contaminato da esplosivi germanici: l’aiuto di artificieri sembra essere elemento imprescindibile, ma non sappiamo se vennero mai fatti intervenire.
Il collezionista decide di recuperare i relitti di due esemplari in modo da ricostruirne quasi interamente uno: è l’agosto del 1945 e, con l’ausilio di un Tank transporter messo a disposizione dal G.M.A. e di ufficiali e militari britannici, Diego mette in atto il suo progetto, non senza incontrare difficoltà. Con alcuni viaggi riesce a trasportare le parti dei sottomarini nel deposito di via Besenghi 2: davanti all’imboccatura della strada il Tank transporter viene agganciato a una trattrice cingolata e trainato all’interno del recinto del Museo fino davanti alla villa Basevi. Durante il reiteramento di una di queste operazioni il Tank abbatte i pilastri del cancello d’entrata al giardino contorcendo i battenti del cancello stesso e danneggiando anche parte del muro perimetrale.
Poco male per Henriquez, che, ancora una volta, ha raggiunto il suo obiettivo.
Se fosse ancora vivo non ci stupiremmo se riuscisse a trovare il modo per recuperare l’ultimo Molch ancora immerso nelle acque di Sistiana; a ben pensarci, però, forse lo lascerebbe nelle profondità marine come relitto espressivo di un passato malvagio da relegare negli abissi più reconditi della mente umana.