Una regina alla corte di Diego

Poteva Diego de Henriquez perdere l’occasione di accogliere alla sua corte di preziosi cimeli una regina? Niente meno che Pentesilea, la regina delle Amazzoni. Ma non per esaltarne le gesta e la vita coraggiosa e indomita, ma per offrirle un reverente rifugio nella fragilità della morte imminente.

Così, infatti, l’aveva raffigurata l’artista triestino Carlo Wostry (1865-1943) nel 1916, quando, per la carestia di gesso, argilla e legno d’intaglio dovuta alla guerra, inventò una statua dedicata all’Amazzone morente utilizzando “ritagli di carta a sovrapposizioni alla maniera dei sarcofagi degli antichi egiziani”. Egli stesso ce lo narra nel suo libro Storia del Circolo Artistico di Trieste in cui aggiunge un episodio curioso legato a tale opera. Racconta che subito dopo l’ingresso dell’Italia nel conflitto, un suo amico orafo gli chiese di eseguire il modello di una medaglia per la Redenzione. “Nel 1916 prevedendo una perquisizione della polizia nel mio studio, nascosi il modello nel ventre di questa statua di Pentesilea che stavo lavorando […]. I poliziotti rovistarono lo studio né mai si sarebbero immaginati che avrebbero dovuto sottoporre Pentesilea al taglio cesareo per trovare il corpo del delitto”.

“Pentesilea” all’interno della Gipsoteca presso il Museo Sartorio (Foto Alessandra Relli - Fototeca CMSA)

Il tempo passa, la statua viene esposta alla Biennale di Venezia del 1922 e null’altro si sa al suo riguardo fino alla primavera del 1949, quando certo Romeo Del Drago, verosimilmente il pittore triestino (1889-1979), si sta ancora occupando del lascito dell’illustre collega – scomparso ormai da diversi anni – per conto della nipote. Grazie a un conoscente che segnala al curatore testamentario l’esistenza e l’essenza delle collezioni di de Henriquez, queste vengono reputate dall’erede luogo consono ad accogliere l’opera tanto che il collezionista può ritirarla dallo studio dello stesso Wostry per trasferirla, provvisoriamente, nell’atrio della Villa Basevi in via Besenghi 2.

Anno 2017: la statua di Wostry nell’ambito della mostra: “Capolavori del Museo Sartorio scelti da Vittorio Sgarbi”
(Foto Marino Ierman - Fototeca CMSA)

Pentesilea segue il destino del Museo di Diego nelle sue diverse sedi, fin quando non si decide di unirla alle pregevoli opere della Gipsoteca dei Civici Musei di Storia ed Arte presso il Museo Sartorio dopo essere stata anche sottoposta, tra il 1989 e il 1990, a un minuzioso restauro da parte della Soprintendenza.

Sarà questa la sua ultima dimora o ritornerà alla corte dei preziosi cimeli di chi l’ha accolta per proteggerla nell’ultimo istante di vita?

Anno 2017: la statua di Wostry nell’ambito della mostra: “Capolavori del Museo Sartorio scelti da Vittorio Sgarbi”
(Foto Marino Ierman - Fototeca CMSA)

Pentesilea, regina delle Amazzoni, il popolo di donne guerriere abitanti la Scizia antica regione dell’Asia Minore, fu figlia di Otrera e di Ares assieme alle sorelle Ippolita, Antiope e Melanippa. Cercò scampo a Troia fuggendo alle Erinni di sua sorella Ippolita che aveva ucciso per errore con una freccia durante una battuta di caccia, oppure – come sostenevano gli Ateniesi – nel corso della rissa che seguì alle nozze di Teseo con Fedra. Per tale delitto Afrodite la condannò a essere violentata da tutti gli uomini che avrebbe incontrato, motivo per cui si coprì con un’armatura: un destino che l’accompagnò anche dopo la morte.

Anno 2017: la statua di Wostry nell’ambito della mostra: “Capolavori del Museo Sartorio scelti da Vittorio Sgarbi”
(Foto Marino Ierman - Fototeca CMSA)

Secondo altre interpretazioni fu chiamata da Priamo nel decimo anno del conflitto troiano a seguito della morte di Ettore per contrastare gli Achei.

Pentesilea uccise diversi avversari greci e più di una volta respinse Achille dalle mura troiane, ma infine il figlio di Peleo la trafisse con una lancia: secondo una variante del mito fu lei a ucciderlo e Zeus, supplicato dalla madre Teti, lo riportò in vita.

Com’era prassi dei vincitori Achille la spogliò delle armi e una volta sfilatole l’elmo e visto il volto integro nella sua bellezza, se ne innamorò violandone le spoglie in atto di necrofilia.
Robert Graves, nel suo libro I miti greci, narra che Achille chiese ad alcuni volontari di seppellirne il corpo, ma “Tersite, figlio di Agrio l’Etolo e il più brutto tra i Greci raccolti attorno a Troia, dopo aver cavato gli occhi dalle orbite di Pentesilea con la punta di una lancia”, accusò Achille di immorale lussuria. “Achille si volse e lo colpì con tanta forza da spaccargli tutti i denti e da far ruzzolare la sua ombra giù nel Tartaro”.
Ciò suscitò grande sdegno tra i Greci e Diomede, cugino di Tersite, volendo dimostrare il suo disprezzo per Achille, trascinò via il corpo della fanciulla e lo gettò nel fiume Scamandro per darlo in pasto ai pesci. Il corpo tuttavia fu recuperato e onorato con solenni esequie sulla riva del fiume: da Achille, secondo alcuni; dai Troiani, secondo altri. “Achille salpò poi alla volta di Lesbo dove sacrificò ad Apollo, Artemide e Latona e fu purificato da Odisseo, nemico giurato di Tersite”.

La figura di Pentesilea morente, sorretta da Achille, venne scolpita sul trono di Zeus a Olimpia e divenne uno dei soggetti della pittura vascolare.

Anno 2017: la statua di Wostry nell’ambito della mostra: “Capolavori del Museo Sartorio scelti da Vittorio Sgarbi”
(Foto Marino Ierman - Fototeca CMSA)

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