Un’alcova al Museo

16 ottobre 1945: l'autoblinda arriva a Villa Basevi, in via Besenghi 2, dove Diego de Herniquez ha uno spazio a disposizione per conservare i pezzi della collezione. Agli inizi del mese di aprile del 1949 venne trasferita sul colle di San Vito, nella zona della cosiddetta "Sanza" dove il collezionista ottenne un terreno per realizzare il proprio Museo. (Archivio fotografico Civico Museo "Diego de Henriquez", inv. 14221)

Bentrovati affezionati internauti, destreggiandoci tra zone rosse, arancione e gialle, riprendiamo a svelarvi alcune delle altre curiosità custodite tra le mura del nostro, e del vostro, amato Museo. A partire da oggi – di tanto in tanto – ci ritroveremo su questa pagina web per continuare a esplorare “l’universo Henriquez”.

L'autoblinda presso il Monte Calvo a Trebiciano dove de Henriquez aveva collocato all'aperto i mezzi ruotati e i pezzi d'artiglieria pesante sperando che quell'area potesse accogliere in maniera definitiva tutti i materiali del Museo grazie anche alla costruzione di grandi padiglioni espositivi e di depositi. Il trasferimento dei pezzi sull'altopiano carsico avvenne durante il periodo della gestione consorziale delle collezioni: vi rimasero fino alla metà degli anni '80. (Archivio fotografico Civico Museo "Diego de Herniquez", inv. 13083)

Sarete senz’altro stupiti dal titolo rivelatore di questo breve racconto e sarete altrettanto curiosi di sapere come una “camera nuziale” possa far parte di un’istituzione culturale le cui radici affondano nell’arte della guerra.

L’autoblinda presso il Monte Calvo a Trebiciano dove de Henriquez aveva collocato all’aperto i mezzi ruotati e i pezzi d’artiglieria pesante sperando che quell’area potesse accogliere in maniera definitiva tutti i materiali del Museo grazie anche alla costruzione di grandi padiglioni espositivi e di depositi. Il trasferimento dei pezzi sull’altopiano carsico avvenne durante il periodo della gestione consorziale delle collezioni: vi rimasero fino alla metà degli anni ’80. (Archivio fotografico Civico Museo “Diego de Herniquez”, inv. 13083)

Il mistero è presto svelato: fu una delle autoblinde mitragliatrici italiane Ansaldo-Lancia 1ZM – del tipo di quella esposta nella nostra struttura – a ispirare al padre del Futurismo italiano, Filippo Tommaso Marinetti (Alessandria d’Egitto 1876 – Bellagio 1944), la scrittura del libro L’alcova d’acciaio. Pubblicato dall’editore Vitagliano nella primavera del 1921, ma subito sequestrato per una sovraccopertina considerata troppo osé, venne ristampato alcuni anni più tardi da un’altra casa editrice.

Un'autoblindata mitragliatrice 1Z, I tipo con due torrette. La scritta "KuK Autotruppe" ci fa supporre che il pezzo sia uno di quelli catturati dagli Austriaci in occasione della disfatta di Caporetto dell'ottobre 1917 e poi rimessi in efficienza. Da una nota relativa all'immagine sembra che l'automezzo sia stato fotografato a Trieste nella zona di S.Andrea e si ipotizza, pertanto, l'intervento della Fabbrica Macchine per la sua risistemazione. (Archivio fotografico Civico Museo "Diego de Henriquez", inv. 14328)

Come dice il sottotitolo, si tratta di un “romanzo vissuto”, che, non senza inserimenti occasionali di parole in libertà, in ventinove episodi tra autobiografia e invenzione narra l’esperienza di soldato dell’innovativo letterato negli ultimi mesi di guerra del 1918 quando era al comando della “sua” autoblindata numero 74. L’opera non solo celebra la grandezza dell’esercito italiano, magnificando la guerra, il militarismo, il patriottismo, la controffensiva del Piave e la battaglia di Vittorio Veneto che vendicarono la disfatta di Caporetto, ma racchiude in sé anche un’anima futurista, che non risparmia critiche alla gerarchia militare e a un sistema organizzativo ormai superato indicando i requisiti di un esercito rinnovato.

Colonna di autoblinde mitragliatrici Ansaldo-Lancia 1ZM. Durante la Grande Guerra diverse furono operative sul fronte del Piave rivelandosi utilissime nelle azioni di ricognizione e per riuscire a occupare velocemente punti di interesse strategico. (Immagine tratta da: BENUSSI Giulio, Autocannoni, autoblinde e veicoli speciali del Regio Esercito Italiano nella prima guerra mondiale, Milano: Intergest, 1973, p.34).

È in quest’ottica che la potente, veloce ed efficace autoblinda è la protagonista del racconto quale emblema del progresso tecnologico – fulcro dell’interesse dei futuristi – e della guerra moderna vittoriosa su strategie belliche ormai datate e che soldati giovani e spensierati, comandati da superiori altrettanto gaudenti contrapposti ai compassati vertici dell’esercito tradizionale, tratteggiano un quadro quasi caricaturale della guerra. 

Vi sono narrate feroci vicende guerresche e avventure galanti, sfide tra soldati e prestazioni sessuali: ed è in quest’ambito che le conquiste femminili di Marinetti simboleggiano la riconquista militare dei territori italiani avendo come epilogo decisivo il matrimonio mistico – nell’alcova d’acciaio – tra Marinetti e l’Italia, l’unica “donna” alla quale egli sente di poter e dover rimanere fedele. 

L'automezzo - ancora con la precedente colorazione - presso la Stazione Marittima in occasione della mostra "Interforze" svoltasi dal 27 ottobre al 5 novembre 1968. (Archivio fotografico Civico Museo "Diego de Henriquez", inv. 12894 – Foto Sergio Lanza)

Quando sveliamo ai visitatori i contenuti del libro marinettiano essi iniziano a guardare con occhi diversi e stupiti l’autoblinda che fa bella mostra di sé al pianoterra del padiglione 3: sembra loro quasi impossibile che l’altera e fredda figura metallica, recuperata nell’ottobre del 1945 nel fondo comunale di viale Regina Elena, oggi viale Miramare, possa aver ispirato un racconto tanto originale e appassionato ormai così lontano dagli stilemi della narrazione odierna.

Ci piace credere che anche de Henriquez conoscesse il ruolo particolare avuto da questo mezzo corazzato durante la Grande Guerra, e non solo, e che per tale motivo gli abbia riservato un posto speciale all’interno delle collezioni, posto speciale ancora oggi conservato per essere uno dei pochi esemplari 1ZM sopravvissuti e, per questo, motivo di richiamo per studiosi e modellisti.

L'interno dell'autoblinda con il posto di guida a destra e il casellario portamunizioni. Su strada il veicolo poteva raggiungere i 60 km/h e a carico completo di combattimento pesava kg 4230. L'equipaggio era composto da sei uomini provvisti di armamento individuale. (Archivio Civico Museo "Diego de Henriquez" – Foto Peter Deschmann)

Bibliografia:

BENUSSI Giulio, Autocannoni, autoblinde e veicoli speciali del Regio Esercito Italiano nella prima guerra mondiale, Milano: Intergest, 1973, p.34-35

www.arengario.it/futurismo/erotica-futurista-17-lalcova-dacciaio/

https://journals.openedition.org/italies/5157?lang=it: VIGLINO Sylvie, «Ho l’anima di un soldato italiano» ovvero l’esercito italiano secondo Marinetti.

www.regioesercito.it/mezzi/lancia1z.htm

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